Anni e anni
Canzoni che accendono ricordi che poi ti rendi conto che sono passate ere geologiche e allora te vorresti ammazzà
Cari amici, ci sono giorni che ti arrivano addosso agganci a cose passate che ricicciano. L’altro giorno tornavo a casa e alla radio hanno passato Everyday I write the book di Elvis Costello, canzoncina deliziosa che apriva Goodbye Cruel World, tra gli album più leccati del mio adorato Declan Patrick eccetera McManus. Ecco, me riparte subito l’acceleratore rocchettaro. Vabbè di questo dirò.
Insomma, una canzoncina niente di che, ma cantavo cantavo e cantando mi ha freddato la dj dicendo che il pezzullo è del 1983. Faccio due conti, e realizzo, 42 anni fa. Ora, non starò qua a rompere le scatole sulla musica moderna, che già mi sono dato del vecchiodemmerda mentre guardavo il concerto del primo maggio/festivalbar style che proprio proprio non digerisco i testi delle canzoni e ohiohi come farò.
Per esempio, il testo della suddetta canzoncella di Costello è melenso un bel po’, e quindi non è che stiamo lì a misurare le canzoni col metro, che so, di Bob Dylan. Semplice, è musica.
Ma poi c’entra qualcosa di più. Per dire, torno a casa e Luigi B. mi posta sul social facciabuk dei matusa un videino youtube con Standing in the rain degli Husker Du.
Eccolo qua, così mentre leggete vi ascoltate una roba forte:
Il fatto è che a questo pezzo è legato un ricordo nitidissimo.
38 anni fa mi recavo, primo pomeriggio, primavera, sole, a un colloquio di lavoro, Roma zona Quartiere africano, primaria impresa di costruzioni italiana.
Stavo lavorando in un grosso forno centralissimo, facevo il cascherino, quello che consegna il pane, i dolci, le torte, in zona Via Nazionale/Via Veneto e dintorni. La freccia de Via Sallustiana, correvo come un matto col furgoncino, ogni tanto ribaltavo e spiaccicavo torte e ciriole.
Prima ancora avevo fatto una decina di mestieri tutti improvvisati e mi attendeva una prospettiva di carriera come aiutante di pasticceria, al massimo. Poi era spuntata questa possibilità: cercano un ragazzotto per farlo lavorare in amministrazione. Scrivi un curriculum.
Non ho curriculum, dico io, non è inerente. Scrivo una lettera, perciò.
Tanto non mi chiamano…
E invece, botta di culo: venga su, che ne parliamo. Lei è un artista, dove ha imparato a scrivere? Mi fa il benemerito che mi riceve. E io: eh.
Ma proprio nessuna esperienza?
Nada, nix, niente di niente. Ma buona volontà.
Ok, non me ne faccia pentire, ci voglio scommettere, mi fa.
Salga al piano di sopra che comincia a lavorare subito. Alla prima che mi combina la caccio.
Non me lo aspettavo proprio, ma il tempo di salutare il fornaro, tanto lavoravo in nero, ho cominciato a trafficare con paghe, contributi, ammortizzatori sociali.E non ho più smesso di sciropparmi robe noiose che nessuno vuole fare.
Ma che c’entrano gli Husker Du? C’entrano, perché mentre sfrecciavo sulla sopraelevata, da Centocelle, diretto verso Viale Libia, che ancora ci si fermava a Ponte Lanciani e si entrava dentro, in quel mentre, lanciato con la R4 (vedi foto), ascoltavo a tutto volume Standing in the rain e posso vedere come fosse ora il flash di me che faccio il curvone tutto sparato sotto casa di Fantozzi, con la giacchetta e i capelli biondi.
Una canzone portafortuna.
Che mi accende mentre scrivo il ricordo di un altro episodio sulla R4.
Gran traffico a via XX settembre, stacco dal forno e m’infilo nel casino, c’è sciopero dei mezzi. Come sempre a Roma. Infilo una cassetta nello stereo.
C’è una ragazza che passa accanto alla macchina (uno schianto, direi, una punkettona proprio bella) che mi guarda, fermo, col finestrino aperto, c’era il sole, e mi fa: da che parte vai? Sono a piedi, non c’è bus, mi puoi dare un passaggio? E io: certo, figurati, ti porto dove vuoi. (Cfr. Elio e le storie tese, Servi della Gleba).
Sale in macchina, il nastro si riavvolge, scatta Inside mind dei Barracudas. Aspetta che la cerco. Eccola.
Insomma, quello che si dice un attacco coi cazzi. Oh, alza il volume, non ti risparmiare il godimento.
Lei mi guarda e mi fa, più o meno urlando: OH, MA CHE È QUESTA COSA FANTASTICA?
E io: mbè, sò i Barracudas, no? E via una disquisizione nerd su loro che rifanno i pezzi dei 13th floor elevators, loro che li ho visti in concerto ed eravamo venti persone, noi che sappiamo le cose rocchettare eccetera.
Ovviamente l’ho portata dove doveva andare chiacchierando amabilmente e non l’ho più vista, perché noi che vogliamo essere apprezzati, noi che non facciamo cose che potrebbero suscitare disapprovazione, noi che facciamo sempre bella figura, insomma, in genere non si tromba.
Si saluta, adamantini, disposti al dialogo, nobili d’animo, che mica si sta a tampinare le autostoppiste, siamo gente seria.
Ok, fine dell’amarcord.
Nel frattempo:
1. Habemus Papam, un papaLeone, che fa praticamente de cognome Prete (Prevost). Ha detto una decina di volte pace e parlato di ponti. Salvini si sarà ingrifato.
2. Quell’animale di Netanyahu ha detto che si pappa Gaza e stermina tutti, e il Papa parla di pace, io sono contento, ma la pace ci vorrebbe per chi sopporta la guerra, e intanto come si ferma la bestia? Alla fine davvero Hitler ha vinto?
3. India e Pakistan si bombardano che è un piacere
concludo perciò che oltre a esserci musica a ‘nu certo livello, 40 anni fa tutto sommato si stava meglio, sotto certi aspetti, perché incredibilmente pigliavi un ascensore sociale, e so io se ce n’era bisogno, c’era la guerra fredda ma i fascistoni si vergognavano (no, non quelli che andavano in giro a sparare, dico, quelli che quando c’era lui e si stava meglio quando si stava peggio, quelli là parlavano piano) e in giro non sembravano tutti impazziti.
E io ero un tipo che aveva ancora bisogno di una bella sistemata.
Col tempo.
Che vedi come si perdono colpi, la canzone di Elvis era su Punch the Clock.
oh poi c'entrava un corpo nel bagagliaio