Che anno è
Un 31 dicembre che non c'è niente da festeggiare, se non per il cambio del numero. Ma ci si prova, a essere ottimisti
Cari amici, avevamo chiesto al 2023 prima di tutto la pace, e ci ha regalato un’altra guerra per certi versi peggiore di quella che ci aveva fatto orrore l’anno scorso. E c’eravamo dimenticati degli altri conflitti in giro per il mondo, quelli che da noi non fanno notizia. Che sono tanti.
Perciò inutile chiedere al 2024 quello che non dipende da lui, semmai farei mente locale nella speranza che qualcuno si metta una mano sulla coscienza e migliori le prestazioni pessime del 2023.
Tipo, il Governo, e non vado oltre. Basta raccontare di asini che volano, basta fare finta di agire in nome e per conto delle famiglie. È un Governo che affama i poveri, mette in un angolo le donne, taglia risorse a tutti quelli che ne hanno bisogno e alimenta deliri pericolosi tipo quello del ponte sullo stretto, mentre l’ennesimo scandalo ribadisce che, da maxitangente Enimont in poi, alla Lega i denari piacciono tanto, ma che dico tanto. Quarantanove.
Detto questo, si va nel privato, e ognuno fa la sua letterina di buoni propositi. La mia non la scrivo perché ho un po’ di cupezza non già per il post-covid, anche se ancora in gran forma non mi sento, ma perché penso a chi si sciroppa un capodanno di sofferenza e angoscia. Che purtroppo non è esclusiva di Gaza e di Kiev, ma affligge anche le mie persone più care.
Perciò il mio augurio di buon 2024, prima che a voi, va a mia sorella, a suo marito e alla loro figlia, che passeranno un capodanno di paura che si spera possa tramutarsi in speranza, o almeno in uno scampolo di serenità.
Poi, certo, possano realizzarsi tutti i vostri desideri, che in gran parte, lo sento, sono anche i miei. Brindo a voi ma oggi non sono in gran forma. Spero in un 2024 di post brillanti e magnifiche operazioni editoriali che tramo da tempo per la vostra gioja. Che l’anno nuovo ci trovi pazzi di gioia, anche per via dello champagne. E voltiamo pagina.