Che si fa se il campione è uno stupratore?
Fare il tifo per una squadra di calcio può esporre a dubbi esistenziali e mettere davanti a prove inaspettate.
Cari amici, sono giorni torridi. Fa un caldo esagerato, si suda e fumano le meningi, ma non è solo questione meteorologica. C’è anche un dilemma etico che ci attanaglia, noi che non abbiamo superato la fase del delirio tifoso, per parafrasare l’ottimo Nick Hornby.
C’è un fantasma che si aggira per l’Europa. Si chiama Mason Will John Greenwood, classe 2001, ed è un calciatore di altissimo livello. È stato messo alla porta dal Manchester United dopo che si è aperto un procedimento giudiziario a suo carico per violenza domestica e sessuale, nei confronti della compagna Harriet Robson.
La donna, fidanzata di Greenwood dai tempi della scuola, aveva pubblicato su instagram una serie di foto che la ritraevano con i segni delle percosse subite, e un file audio che testimoniava la violenza sessuale. Foto e audio disponibili in rete che non ci penso per niente a riprendere.
Greenwood è stato arrestato una prima volta quando sono uscite le foto, e una seconda volta per aver violato il divieto di avvicinarsi alla compagna. Alla fine non è stato sottoposto a giudizio perché sono venuti meno i presupposti: la compagna ha ritirato le accuse, i due continuano a stare insieme e hanno messo al mondo un figlio, più o meno all’epoca del ricongiungimento che ha portato al secondo arresto.
Greenwood in una dichiarazione pubblica ha parzialmente ammesso di avere delle responsabilità nella vicenda, ma di fatto non ha pagato pegno, se non per la sfiducia del club di appartenenza, che non lo ha reintegrato in rosa nonostante il suo valore come calciatore. Anche la famiglia di lei spezza una lancia a suo favore.
Mason Greenwood da allora ha difficoltà a trovare una squadra. L’anno scorso, dopo lunghe trattative e voci sul suo destino, ha trovato asilo presso il Getafe, nella Liga spagnola. Adesso se lo contendono Olympique Marsiglia e Lazio, con sullo sfondo voci di blando interessamento di Napoli e Juventus.
L’avvicinarsi del suo ingaggio al Marsiglia ha creato subbuglio. Il sindaco Benoit Payan è intervenuto per dire che l’attaccante è indegno di indossare la maglia dell’OM, e l’allenatore Roberto De Zerbi è stato criticato aspramente per aver dato la sua disponibilità al trasferimento. “Lo tratterei come un figlio”, ha detto, sottintendendo che per lui si tratterebbe di un giocatore come tutti gli altri. I tifosi, invece, sono divisi.
Ci sono stati, recentemente, molti casi analoghi. Il più grave, da noi, riguarda il calciatore Manolo Portanova, condannato in primo grado a 6 anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo.
La Federazione ha rifiutato di sospenderlo dall’attività in attesa della pronuncia definitiva delle giustizia. Nel frattempo il giocatore, di scuola juventina, ex nazionale under 21, ha militato lo scorso anno nella Reggiana, in serie B, giocando regolarmente, nonostante le proteste di parte della tifoseria (nella foto ci sono solo donne: si trattava di una protesta di Non una di meno, ma ci fu anche una larga condivisione maschile).
Portanova aveva visto sfumare il trasferimento al Bari per le proteste dei tifosi, e anche al Genoa, dove militava quando è successo il fatto, di cui si proclama innocente, ci sono state proteste. Ma non si tratta di un caso isolato: dall’illustre Dani Alves, ex Barcellona e Juventus, libero su cauzione dopo 14 mesi di carcere per stupro, al fuoriclasse Robinho, che sta scontando in Brasile una condanna di 9 anni per stupro consumato in Italia, quando militava nel Milan, dal forte attaccante genoano Gudmundsson, accusato in Islanda di violenza sessuale, all’ex romanista Nainggolan, finito nelle cronache cagliaritane per aver picchiato la moglie quando militava nella squadra sarda.
Tralascio di compilare un penoso elenco completo, che comprenderebbe a vario titolo campioni come Benzema, Kluivert, Ribery, Jerome Boateng e altri, di uno dei quali parleremo più giù.
I calciatori si espongono spesso a scandali sessuali, storie di feste alcoliche, situazioni da rotocalco anche con qualche strascico da cronaca giudiziaria. La violenza di genere però è altro. Presuppone un’idea del rapporto con le donne inaccettabile.
Non può mai essere qualcosa che scaturisce dal nulla, ma si concretizza a partire da un senso deviato di possesso, pretende la disponibilità a servire della donna, sia sessualmente che sul piano più ampio del rapporto affettivo, come fosse una cosa a disposizione. È difficile pure da dire, mi scuso per l’imprecisione.
E fin qui la condanna sgorga, spontanea, dal cuore di chi non accetta questo tipo di violenza, che sta alla base, poi, dei femminicidi che riempiono le cronache nostre e di mezza Europa, come testimoniano i nomi dei grandi calciatori che ho snocciolato prima. Però questo tipo di condanna ha un costo. Non è gratis, se si entra nella sfera di Hornby: noi tifosi non abbiamo mai superato questa fase.
E se il campione violento lo ingaggia la nostra squadra come ci mettiamo?
C’è una discussione aperta da giorni su Lazio.net, storico sito dei tifosi laziali che ho anche avuto l’onore di gestire e di animare per diversi anni. Una discussione simile a quella che avviene negli ambienti tifosi del Marsiglia e, probabilmente, in passato, a quelli della Reggiana, del Genoa, del Bari e di tutte le società coinvolte in queste vicende.
Su Lazio.net il rapporto favorevoli/contrari all’ingaggio di Greenwood, al momento, è circa 60/40, su un campione consistente di votanti. Le motivazioni sono articolatissime e uno scambio di opinioni fittissimo e costruttivo è in atto. Anche doloroso, perché ci sono persone che non accettano che si tolleri l’ingaggio di un giocatore con un passato del genere.
Si potrebbe dire che a diversi livelli in Italia si è dimostrata scarsa sensibilità sul tema da parte di chiunque, che siano giudici, forze dell’ordine, stampa, tv, social, opinione pubblica. Persino a margine del film di Paola Cortellesi ci si è scannati sulle questioni della violenza di genere. In Spagna, invece, il presidente federale Rubiales è stato travolto dallo scandalo provocato dai comportamenti inappropriati in occasione della vittoria del mondiale di calcio femminile. Baciò in diretta planetaria la calciatrice Hermoso, non consenziente. Alla denuncia di Hermoso è seguita, poi, la denuncia per un fattaccio di corruzione.
Nel nostro caso, però, c’è qualcosa di diverso. C’è che la condanna, la presa di distanza costa. Perché non abbiamo superato quella fase. Perché quando una squadra va in campo ci sono undici interpreti con una maglietta addosso e non è possibile fare il tifo per tutti meno uno di loro.
Non so come spiegare, il gioco va dove deve andare, e un giocatore in campo compie dei gesti, segna dei gol, fa cose che suscitano l’entusiasmo del tifoso. Non è gestibile una contraddizione del genere, non si può fare il tifo per una squadra distinguendo uno su undici, per cui si applaude ma non lui, si spera nel meglio ma non per lui.
Ci troviamo, quindi, di fronte a una contraddizione dirompente, per chi ritiene importante considerare la macchia infamante nel passato di Greenwood. Anche perché si potrebbe obiettare, davanti al giudizio sulle sue azioni, che proprio noi laziali abbiamo venerato e siamo attaccatissimi al ricordo di Paul Gascoigne, che poi nella vita fuori dal campo è un ubriaco patologico che ha compiuto diverse nefandezze, oltre a costringere la moglie Sheryl a un’infernale ménage che la donna ha raccontato in un libro dedicato, intitolato “My life surviving Gazza”. Titolo che rende l’idea.
Questo significa che opporsi davvero a questa violenza comporta un prezzo da pagare, in termini di rapporti sociali, o anche, semplicemente, di convivenza/coerenza con le proprie convinzioni. Una cosa lacerante, per chi conosce le strade del tifo sportivo, che ci fa sembrare, a volte, dei cretini.
Una contraddizione che spero di risolvere in un modo: vedere Greenwood con una maglia diversa da quella della Lazio.
Conservi tutti i diritti inalienabili di uomo, si penta sinceramente, se non lo ha ancora fatto, di una colpa che non si cancella, purtroppo, anzi. Fa temere ricadute. Ma è giusto che lui possa guardare avanti, se si redime.
Non è giusto che non abbia scontato pena per i suoi comportamenti, semmai.
Ma non è questo che ci farà superare quella fase: è un prezzo troppo alto da pagare, è una passione bambina che non si può mettere in un cassetto perché arriva un campione violento e stupratore. Pronto a diventare idolo per una tifoseria che nutre, da sempre, un tratto provocatore, una simpathy for the devil, qualcosa che la porta a eccedere e a finire sul banco degli imputati, per il puro gusto di farlo. Non voglio dovermi difendere anche da questa accusa. Non voglio sorprendermi a esultare per una giocata di questo campione.
Perciò vade retro, Greenwood.