Chiedo Pace
Stanno succedendo cose tremende, su cui non sono in grado di dire niente, se non che chiedo pace.
Cari amici, un ricordo scioccante delle prime letture che ho fatto a proposito dell’Olocausto, da adolescente o prima ancora, è quello del tiro al bersaglio dei soldati tedeschi, che facevano arrampicare i bambini per poi sparargli, nel ghetto di Varsavia. Un gioco malvagio e raccapricciante. Da grande ho visitato poi un campo di sterminio e sono stato esposto, come tutti, al racconto documentato della Shoah. Il male assoluto.
Così resto senza parole per quello che leggo e sento sta succedendo in Palestina, che non riesco a non collocare, anche se non so bene come, in una logica di continuità con la violenza assoluta dell’architettura di sterminio che ha segnato il ventesimo secolo.
Se è vero che ogni guerra è accompagnata da atrocità d’ogni tipo, in qualche modo le sofferenze inflitte ai civili palestinesi con la crudeltà e la sistematicità che si raccontano, compiute da un Paese che nasce per diretta conseguenza (risarcitoria) dello sterminio nazista degli ebrei, finisce per ricondurre nell’alveo del possibile, e quindi del ripetibile, la stessa macchina di morte nazista. Che in qualche misura cessa di essere un’aberrazione, per diventare qualcosa di diverso, ugualmente terribile ma non più unica, non più caratteristica di un passato che non torna, con cui “si sono fatti i conti”.
La riporta, temo, nel terreno del concepibile, elaborato e classificato come nuovamente fattibile, sia pure con caratteristiche diverse, ma non meno spaventose. So che è molto difficile sostenere un paragone del genere e non riesco a trovare le parole giuste per dirlo, ma il disagio che mi provoca questa situazione è grande, e in qualche modo lo vorrei esternare, con grande preoccupazione.
Leggo, poi, come tutti, le notizie che arrivano, ultima quella dell’attentato Isis a Mosca, e mi fa impressione il taglio dei titoli dei maggiori giornali italiani, che sembrano alimentare venti di guerra con partecipazione e approvazione. Tralascio le speculazioni e i complottismi che nascono e prolifereranno sui fatti del Crocus City perché fanno parte del nostro tempo, ancora non s’è spenta l’eco delle assurdità sull’11 settembre, mi figuro quello che si dovrà sentire da qui in poi.
Capisco che parlare di pace in certe situazioni può sembrare ingenuo e superficiale, ma la pace resta il valore fondante dello sviluppo della nostra parte del mondo, seguito all’ultima guerra che si è combattuta da noi, di cui resta vivo il ricordo, almeno nelle generazioni che ne hanno potuto ascoltare il racconto. Oggi, poi, era l’anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, 80 anni fa. Ancora vicinissime.
Vero che in questo frattempo il mondo non ha mai smesso di essere in guerra, che si sono combattute guerre non raccontate, o raccontate secondo convenienza, che insistono colonialismi, guerre per procura, sfruttamento impazzito delle risorse planetarie e conflitti sanguinosi legati a interessi economici, che incalza una crisi climatica non tenuta nel giusto conto.
Ma mentre come cittadino europeo mi chiedo se ha ancora senso il nostro privilegio, e se sia possibile mantenerlo in futuro, proprio dall’Europa (geografica) vedo una leggerezza sconsiderata nel ragionare di guerra tra potenze nucleari, il che riporta a scenari propri della guerra fredda, che ci siamo raccontati anche ridendone: i rifugi antiatomici, la propaganda americana, b-movie compresi, e tutto quello che abbiamo sempre liquidato come impossibile. Sembra dietro l’angolo. Sembra non riguardarci. Sembra assurdamente eccitare i nostri media.
C’è qualcosa di tremendo, che non è solo sbagliato. Sta succedendo, forse, o forse si vorrebbe che succeda, pensando di poterne trarre un qualche vantaggio. Io non so che pensare, non riesco a farmi un’idea dello stato delle cose. Ma vorrei che si fermasse questa tempesta d’odio.
E non ne parlo perché non so cosa dire né come dirlo.