Il mondo alla rovescia (mica tanto)
Strange things happen, diceva Billy Bragg. Ne succedono, eh
Cari amici, ne succedono di cose. Quel presidente che somiglia spiccicato al topo Gas-gas daje e daje è finito ai domiciliari, addirittura, con tutti a dire eh, oh, ma non si può più fare niente, prendersi una responsabilità politica, e poi la giustizia a orologeria, e le toghe rosse e che. Qua la faccenda pare grossa, volano mazzette, regali, intercettazioni scabrose: più che il mondo alla rovescia si può dire che siamo alle solite, manco fosse una cosa nuova. Piuttosto, la parabola del presidente topone dovrebbe far riflettere sul percorso dell’uomo: da inviato a direttore a delfino a… topone.
Alla rovescia c’è la censura: Roccella, ministra contestata, si straccia le vesti, come già l’anno scorso di questi tempi, contro quei maleducatoni che non la fanno parlare. Cioè una cinquantina di liceali che contesta avrebbe operato una censura nei confronti di un’esponente del Governo.
Ora non io, ma la Treccani sostiene che la censura sia
in generale, controllo, biasimo e repressione di determinati contenuti, idee o espressioni da parte di un’istanza dotata di autorità.
Ora, dotata d’autorità è certamente una ministra, non certo un gruppo che contesta, avendone ben donde, avrebbe detto Pizzul: già sono incommentabili gli “Stati generali della natalità”, e glissiamo, ma all’indomani di uscite tipo quella dei pro vita nei consultori e in una fase di grande pressione regressiva sui diritti civili una contestazione è il minimo che ci si possa aspettare, soprattutto quando si esce a parlare da cotanto pulpito. Chi dovrebbero contestare, quelli che non sono d’accordo con questa deriva, se non la Ministra della Famiglia, della Natalità e delle Pari Opportunità?
Insomma, hai voluto la bicicletta, adesso pedala, prendi i fischi e porta a casa. E saranno pure incivili, ma che dovrebbero fare, tacere e zitti? Certo, da 50 anni non si fa altro, ma bisognerà che si cominci da qualche parte.
Per esempio, da qui:
Tra il 1991 e il 2022 i salari reali in Italia sono rimasti sostanzialmente al palo con una crescita dell’1% a fronte del 32,5% in media registrato nell’area Ocse. È quanto emerge dal Rapporto Inapp presentato oggi secondo il quale il dato è legato anche alla bassa produttività del lavoro, cresciuta comunque più delle retribuzioni. Nella distribuzione del reddito si vede una caduta crescente della quota dei salari sul Pil e una crescente quota dei profitti (ormai stabilizzata su valori rispettivamente del 40% e del 60%).
Lo dice il Sole 24 ore, mica il Manifesto. Leggi pure.
In questa situazione c’è chi si batte per abolire il Jobs Act, che non sarebbe mai troppo tardi, ma ridiventa, come allora, una questione “simbolica”: si mise mano al totem dell’articolo 18 più per piegare la testa ai lavoratori e consegnarne lo scalpo alle imprese, non paghe, loro e i picconatori dei diritti, da Treu in giù, dello scempio che si chiama flessibilità, che è la prima causa del devastante crollo del potere d’acquisto dei salari più bassi, su cui si fondano anche l’impoverimento della classe media e l’allargarsi a macchia d’olio dei lavoratori poveri e dei poveri assoluti.
Il paradosso della debolezza contrattuale dei lavoratori salariati in una congiuntura in cui le imprese fanno una fatica assurda a reperire la manodopera di cui hanno bisogno, almeno in certi settori che gridano di dolore giorno dopo giorno.
Sarebbe da ripensare il lavoro, la scomparsa del lavoro, il regredire del lavoro nelle priorità attuali, la poca voglia che hanno soprattutto i giovani di impegnare il loro tempo per così poca soddisfazione professionale ed economica, sacrificando cose più gratificanti.
Si spera che, scintilla oggi scintilla domani qualche fuoco si accenda, e che non ci si accontenti della melassa meloniana del tutto va bene alternato al vittimismo contro quei cattivoni che non celebrano uniti come un sol uomo l’ascesa della donna forte al comando, che si sente donna der popolo, come pure diceva di sé il furioso babbeo: chi non ha letto Gadda si figuri chi potrebbe mai essere, dai che ci arrivate, occhi strabuzzati, mascella volitiva, passione per i balconi, quello là, il capobanda.
Lasciamo stare.
Ho iniziato a scrivere delle cose per gli amici di Globalist Culture, ve le segnalo qui, magari vi interessano.
Ieri ho scritto Rose Rosse per Me, i 40 anni di Red Roses for me dei Pogues celebrati in una festa, mi cito:
si celebra soprattutto l’assenza ingombrante di un personaggio da copertina del rock anni ’80 (ma Spider Stacy giura che Shane McGowan, da qualche parte, fosse presente, e forse lo era davvero): in quello che resta del grande show del rock celebriamo anche noi stessi. Se ci mancano gli idoli di gioventù è perché ci manchiamo, un po’, anche noi. E questo concerto, anche se visto su youtube, ormai veicolo principe di molti contenuti, strappa dal divano e invita alla danza, come se si stesse nell’aia a danzare una giga o un saltarello, cantando ritornelli antichi, poetici e romantici.
puoi leggerlo tutto intero al link:
Red Roses for me
Ho scritto anche un pezzo curioso sul robot Flippy, l’intelligenza artificiale al servizio della ristorazione: una macchina che manda avanti una friggitrice da sola, sulla quale si è costruita la storiella del ristorante completamente automatizzato. Mica vero. Sta qui:
Flippy, il robot californiano che frigge qualunque cosa usando l’intelligenza artificiale
E per oggi è tutto.
Forse potrei scrivere una cosa laziale per il 12 maggio. Se trovo il tempo…
Voi intanto condividete, iscrivetevi, fate iscrivere gli amici, insomma sostenete, se vi va.