Io e i Talking Heads, Roma 1980
In ricordo di un concerto che non ho visto, tanti capelli fa
Cari amici, nel 1980 ero un ragazzino che andava a scuola, con qualche complesso in testa, sia in senso psicanalitico che in senso rocchettaro. Il famoso è tutto un complesso di cose eccetera, che faceva di me un piccolo quieto selvaggio, dedito al culto della squadra del cuore, del disegno fumettaro e della musica rock, o per ricordare il famoso volantino del Black out, o del Uonna, New wave, No wave, Nowo rock, Ska/beat, queste magnifiche formule che nessuno capiva bene che cazzo significassero ma stavano una meraviglia sui flyer dei club.
Come si coltivava all’epoca la passione per il rock non avendo una lira, un mezzo di trasporto, degli amici che ti trascinassero, e essendo per giunta minorenni? Facile, a) avendo un vicino di casa che ti passa le cassette a intensità crescente, prima Elton John, poi David Bowie, poi Lou Reed, poi i Clash… (grazie per sempre, fratello Stefano) b) avendo una radio e ascoltando una stazione radio fichissima, che era Punto Radio, modulazione di frequenza 103.700, dj che passavano roba fichissima, a parte qualche caduta heavy metal che mi ammorbava un po’, ma non sempre. Mi piacevano, per esempio, i Thin Lizzy. Ok. La radio passava musicona a tutte l’ore e io registravo cassette, catalogavo musica, divoravo tutto quello che riuscivo a trovare, facevo bei disegni, traducevo testi cool vocabolario di scuola e spesso non ci capivo una minchia, forse perché non c’era niente da capire (canticchiare il verso di Francesco De Gregori). La radio passava di continuo roba dei Talking Heads, era uscito per il mio compleanno Remain in light e si alternavano Once in a lifetime e Born under punches, io cercavo di procurarmi la cassetta ma non mi riusciva perché il mio amico liquidava la questione (maddeché, ormai fanno musica da discoteca) invitandomi ad ascoltare i ben migliori primi due dischi, saltando a piedi pari Fear of Music perché sta roba afroelettrica chedé.
E in effetti mi giovai molto di quei suggerimenti. Nel frattempo i Talking Heads passarono da Roma, Palaeur gremito, aria densa di fumo, supergruppo sul palco rimpolpato da un mostro della chitarra come Adrian Belew, cresciuto folle da Frank Zappa, che giocava a far barrire la chitarra con le sue elephantosity e i suoi languidi versi di gabbiano. Non ci andai, non potevo in nessun modo, forse nemmeno lo seppi o forse sì, pubblicità alla radio ne sarà passata. Racconti epici di quel concerto ne ho ascoltati a mille, ma l’altro giorno, ravanando su youtube, ne ho trovato delle testimonianze (la famosa ripresa RAI) che qui di seguito riporto:
Il concerto fu davvero magnifico, Tina Weimouth affascinante, David Byrne serissimo, niente a che vedere con altre performance, Belew che si diverte come un pupo con le sue espadrillas e l’anima lunga secca geniale, più tutti gli altri, che erano tantissimi. ok, questo per la musica. La ripresa però mostra la gente, almeno quella che si accalca sotto al palco, e le facce e l’entusiasmo e le pettinature e i baffi e tutto. Mi sono parsi tutti maschi, ma a parte quello, era come un rivedere cose che con lo scorrere del tempo te le sei dimenticate e come mai siamo arrivati dove siamo ora, come abbiamo fatto, come si è aggiunto tutto questo tempo che ci ha cambiato i connotati e le teste e perché tutta questa musica non ha cambiato il mondo in meglio e.
Alla fine ti senti un vecchiodemmerda e un po’ lo sei, ma questa cosa fa un po’ l’effetto del contare i cerchi nei tronchi, di carotare i ghiacci dell’Antartide per ricostruire gli accadimenti che hanno fatto sedimentare la memoria degli anni passati. Così condivido il filmato, certo di farvi cosa gradita, e vi invito a danzare mentre lo guardate, alzando il volume e abbandonandovi alla felicità di questo suono moderno, fatto anche di loop un paio di lustri prima che si cominciasse a comporre usando il pc, come in tanti fanno mo’, senza essere David Byrne o Brian Eno. Ma questa è roba tecnica e chissà se è vera.
Il resto è cuore, sangue, memoria.