Morire di lavoro
Una strage quotidiana che ogni tanto fa notizia, ma è un triste ritornello senza fine: sfruttamento, ignoranza, demagogia.
Cari amici, la prima volta che mi sono trovato davanti un incidente mortale sul lavoro è stato nel 1990. Ho lavorato per tanti anni in imprese di costruzioni di livello medio e alto, e mi occupavo dal lato amministrativo sia dei controlli sui subappaltatori che delle pratiche legate alla sicurezza, di supporto ai tecnici che lo facevano in prima battuta.
Era il 1990, e in un cantiere a Prato un operaio di 35 anni, abruzzese, finì schiacciato dal crollo di uno scavo. Era sceso giù per sbloccare una cassaforma che serviva a consolidare lo scavo e si era incastrata. La terra lo ha schiacciato e non c’è stato niente da fare per rianimarlo.
Ne ho visto un altro morire nel cantiere dell’Auditorium, un operaio che lavorava all’impianto degli ascensori e cadde nella tromba finendo infilzato al meccanismo dell’ascensore che aveva installato di sotto. Scusate se non riesco a essere preciso con i particolari tecnici.
Ho visto anche un operaio esperto salvarsi, nel cantiere del pozzo d’imbocco della LTR a Napoli, perché l’elmetto lo protesse da un pezzo di tubi innocenti caduto dall’alto, una decina di metri buoni, che lo colpì in testa. Si ruppe l’elmetto e lui se la cavò con una bella botta e una bella paura. E tutti che dicevano: cazzo, se serve l’elmetto.
I cantieri sono pericolosissimi. Nei controlli fatti in tanti anni sui subappaltatori ho rilevato spesso irregolarità amministrative di vario tipo, dagli errori in buona fede ai casini dei cialtroni, alle buste paga false. Ho scritto lettere alle ditte e per conoscenza al sindacato per intimare loro di mettersi in regola con i contratti e con i dispositivi di protezione individuale, ma ho visto anche operai girare per i cantieri con le Superga ai piedi, e tutti, dai responsabili ai manovali, guardare con fastidio alle prescrizioni di sicurezza.
Perché effettivamente rompono le scatole, ma limitano fortemente il rischio: e come si sa, quello che non succede in una vita succede in un attimo.
Nella mia vita precedente da operaio ho rischiato e avuto paura in diverse occasioni: una scossa di terremoto mentre ero su un ponteggio a Castelgandolfo, un pezzo di forato che mi è caduto in testa nel cantiere dell’Inps a Via Longoni, ancora ho la cicatrice del buchetto che mi ha fatto, il frontale fatto col furgoncino alle 6 di mattina, davanti alla Biblioteca Nazionale a Roma, quando consegnavo il pane, il lavoro in equilibrio sul binario di scorrimento dei pezzi di carne in un laboratorio di macelleria a Torpignattara, senza nessuna protezione, a tre metri di altezza. In quasi tutti i casi lavorando in nero. Il tutto in pochi anni di lavoro, questo per rendere l’idea della frequenza delle situazioni a rischio in condizioni di lavoro precarie.
Il problema è duplice: le imprese sfruttano ogni opportunità per fare profitti, e più si scende di livello più si accentua il fenomeno, per mancanza di mezzi, di preparazione, di cultura del lavoro. Fenomeno accresciuto dalla disponibilità di manodopera priva di formazione, bisognosa di lavorare, in certi casi in uno status che la priva di ogni diritto e visibilità. Lavoratori fantasma.
Ormai da trent’anni c’è in Italia un impianto legislativo imponente,. Il punto è farlo rispettare. I subappalti accrescono la redditività delle commesse, fanno bastare e avanzare i soldi del committente facendo pagare i ribassi ai lavoratori, alla sicurezza, alla qualità dei materiali.
Si deve tendere a un sistema-lavoro che limiti al minimo certe circostanze, non potendo per definizione azzerare il rischio, ma si marcia alla media sostenuta di tre morti al giorno e solo ogni tanto, in casi eclatanti come quello di Firenze, queste morti fanno notizia.
Non c’è una ricetta che possa cambiare la testa della gente, quindi il problema resterà senza soluzione, se non aumenterà la responsabilità sociale delle imprese e anche, ma è una conseguenza, la consapevolezza dei rischi da parte dei lavoratori, che deve essere alimentata dalle imprese, al limite della tortura, osservando tutte le norme e le prescrizioni relative alla sicurezza e costringendo i lavoratori a farlo.
Impossibile con l’atteggiamento attuale. Bisogna rendersi conto che la mancanza di sicurezza sul lavoro è solo un’altra faccia del problema dei salari troppo bassi e dei diritti negati: questione di soldi. Non è lavoro, è sfruttamento, per citare chi se ne occupa tutti i giorni.
I morti di Firenze non saranno gli ultimi, non sono i soli, e se non hanno nome è perché su un altro tavolo c’è chi gioca ad alimentare un’emergenza che non esiste. Poi a morire in cantiere ci va chi sbarca, insalutato e incontrollato, sulle nostre coste, o entra a piedi dalla via orientale.
Gente che per chi ci governa rappresenta un problema di sicurezza.
Gente che merita sicurezza e tutela, nel momento in cui lavora per le imprese italiane.