Cari amici, m’inebrio di gioia e di gottini per la vittoria del ragazzo che sta prendendo a pallate il tennis mondiale, raccogliendo consensi perché così perbene, così posato, così billuccittu delle mamme sie (scusate, stasera mi parte l’amatriciano).
Nel chiuso dei loro stanzini, intanto, gli haters sfiorano con le dita la lama degli affilatissimi rasoi da social, mentre analizzano le ultime dichiarazioni dei redditi del ragazzo, scorrono inquieti la lista degli sponsor e spulciano le dichiarazioni rilasciate dalla prima media in su, in cerca di qualcosa che ne sporchi l’immacolato grembiulino. Ci sta, chi troppo in alto sale assaggi ‘sto caviale (e giù palate di letame).
A proposito di letame (lu stabbiu, sempre rimanendo al vocabolario amatriciano che mi scorre nelle vene), dice un tizio miracolato dalla parentela, nel paese dei cognati (è Flaiano, sto a cità, Lollo, manco le basi) che la gente che piace non ha dimestichezza con il nobile fertilizzante organico.
Quando si dice un’uscita di merda. Mi ricorda l’episodio di un vecchio zio un po’ sempliciotto che, raggiunto dallo stimolo impellente, si avviò di corsa verso l’orto tenendosi forte il fondello dei pantaloni. Interrogato al ritorno sul motivo di tanta fretta rispose: “mbè, me scappìa un bisogno, che la voi sprecà?” (sempre amatriciano è, oggi va così). Qua sul letame non si accettano lezioni da nessuno.
Ho scoperto, intanto, che esiste un certo numero di persone (ne conto tre, mi pare) che pur chiamandosi come me Pancrazio preferiscono farsi chiamare in altro modo. Chi Ezio, chi Paolo. Ammetto che forse nella mia poca carriera il fatto di chiamarmi Pancrazio Anfuso possa avermi in qualche misura penalizzato. In effetti molti non capiscono quale sia il nome e quale il cognome. E poi sul biglietto da visita non suona bene. Ti dirò che aggiungendo il cognome di mia madre già prendo un altro stile. Il doppio cognome dà un tocco di classe.
Anch’io però mi sono rinnegato, una volta, da piccolo, in un frangente un po’ imbarazzante, per evitare un surplus di bullismo, ribattezzandomi nella circostanza Roberto. Ma insomma, uno deve portare con orgoglio il proprio nome!
Vabbè, st’abuso d’orgoglio ha un poco stufato, ma riflettete su questo: un vecchio datore di lavoro, maledetto sporco sacco di quel letame di cui sopra, un certo giorno se ne uscì dicendomi che mi avrebbe chiamato in un altro modo, perché non ero degno di chiamarmi Pancrazio, visto che il sant’uomo di cui lui era devoto si chiamava proprio così.
Ora, a parte che ‘sto fratacchione miracoloso si chiamava all’anagrafe Nicola, e quindi avevo ben più diritti io di chiamarmi Pancrazio, altro che le pallide barbute imitazioni, il fatto di definirti indegno del tuo nome è un bel gesto di merda (scusate la persistente deriva scatologica), soprattutto se rientra in una quotidiana vessazione in un quadro tendente alla tortura generale dei propri malcapitati dipendenti. Storie morte e sepolte, che però restano nella memoria. Il saluto all’uomo/letame è contenuto nel testo del bluesaccio d’annata di Pino Daniele che allego.
Insomma, tanta gente ama i conflitti, sui social e nella vita, e si approfitta del potere, quando ne ha: sui social hai il potere di dire quello che ti pare, tanto nessuno ti ascolterà, a parte i quattro lettori che ti porti dietro, a meno che tu non sia un influencer di quelli capisciammé. Se però il potere che hai può rendere complicata la vita alle persone, ecco che shit happens. Daje.
A proposito di social, con la lettera precedente sui razzisti udinesi (la ripropongo sotto) ho scoperto, nel dibattito seguito sui social, che c’è chi a un certo punto legge una cosa e scantona dal discorso, generando una sottodiscussione che non c’entra una ceppa e però porta il ragionamento altrove. Nella circostanza si tratta di chi salta di palo in frasca per parlare d’altro in quanto fascistone, ma prevale, in generale, il fatto che non si rimane focalizzati per più di poche righe su un testo, soprattutto se è lungo, e si tende a scivolare altrove con l’attenzione.
Partendo da questo presupposto la smetto, prima che vi disperdiate in mille rivoletti. Raccomandandovi di condividere il post con chi vi pare cliccando l’apposito pulsante, e di invitare amici parenti e conoscenti a sottoscrivere la newsletter per riceverla per posta usando l’altrettanto apposito pulsante sottostante.
È gratis, non inquina e non odora di letame.
Parola di Pancrazio.