Cari amici, ho dedicato questa settimana a scrivere qualche post per avviare un filo diretto quotidiano che dovrebbe trovare asilo in qualche sito culturalinformativo. Per tenere la penna impegnata ho cominciato a lavorarci subito e ho usato i social a guisa di palestra, dribblando l’algoritmo oscurantista, anche se sono contrario a regalare contenuti alle piattaforme, che restano però luoghi di lettura e dibattito, niente da fare. Quindi i post sono andati su facebook, su threads e sulle note di substack.
Li riprendo qui di seguito, a beneficio dei miei 25 lettori non social, dando spazio anche a qualche commento interessante ricevuto. Vedremo poi come si evolverà il mucchietto delle mie produzioni ponderose.
7/4 Festival della letteratura Working Class
Splendida giornata di primavera al Festival della letteratura Working Class, presso il presidio ex GKN di Campi Bisenzio. Il Festival è stato un successone, con migliaia e migliaia di partecipanti, in tre giorni di programma, nonostante la proprietà della fabbrica abbia tentato con ogni mezzo di contrastarlo, arrivando anche a spiarne le mosse con l'uso di un drone, chissà per fare cosa. Il tutto perché non si era lì per intrattenimento, citando Mark Fisher, ma "perché vogliamo che chi è nato in case senza libri scriva la propria storia, per tornare dentro l’immaginario collettivo e diventare più forti nel rivendicare i propri diritti". Io ci ho fatto un salto oggi, ho mangiato una buona pappa al pomodoro, bevuto una birra fresca, seguito l'evento sulla letteratura proletaria degli Stati Uniti degli anni '30 e, soprattutto, acquistato il bellissimo libro di Joseph Ponthus, Alla linea, che mi ha monopolizzato il resto del pomeriggio. L'ho letto d'un fiato e ne sono rimasto colpito nel più profondo, lo straconsiglio e lo aggiungo alla collezione di libri working class che grazie alle dritte di Alberto Prunetti si moltiplicano nella mia libreria. Si fa per sostenere, ma se ne trae grande beneficio per il cuore e per l'anima. Insorgiamo, anche contro le nostre pigrizie!
Hai finito
Arrivederci
Piccolo interinale
Non ti abbiamo cazziato troppo
Non hai preso giorni per malattia
O peggio per un infortunio
La produzione non si è mai fermata
Arrivederci
Fabbrica
Arrivederci
Soldi
6/4 Cortellesi & friends (or foes)
Se scorriamo la classifica dei film campioni d'incassi in Italia non troviamo cinema d'autore. Checco Zalone, Titanic, Avatar, Re Leone, Barbie, il massimo dell'ardore è La Vita è Bella di Benigni. Fa strano perciò il forte rigurgito di critica seguito all'uscita di C'è ancora domani di Paola Cortellesi nei circuiti televisivi. Il film è stato visto in sala da 5 milioni di spettatori: la metà di Quo Vado di Zalone, che è il campione nel terzo millennio, e ha numeri imparagonabili con quelli, molto superiori, e riservati spesso a film d'autore, del secolo scorso. Il punto è: chi sostiene che il film sia un capolavoro da storia del cinema? Nessuno, mi pare, men che meno l'autrice. A che si deve, perciò, l'eccesso di critica, che finisce per essere una sopravvalutazione non richiesta dello stesso film? Posto che il successo non si perdona a nessuno, e fatta la tara dei critici abilitati a farlo, ché non credo questo sia un Paese con 60 milioni di Mereghetti, resta il dubbio che a muovere la critica, almeno in parte, sia la tematica del film e i nervi scoperti che va a stimolare. Non sarà che, gratta gratta, ci sono un po' di maschi che se la sono presa a male?
5-6/4 A proposito di terremoti
A Taiwan una scossa di terremoto di magnitudo 7.4, incluso sciame furioso successivo, ha fatto un bel po' di danni, 9 morti, qualche centinaio di feriti e alcuni dispersi che si spera siano ancora vivi. Si ritiene che il terremoto sia stato assai meno distruttivo di quelli recenti in Italia per l'utilizzo di tecnologie adeguate alle sollecitazioni del sisma. Il grattacielo Taipei 101, 509 metri di altezza, ha retto benissimo il colpo, grazie all'assorbitore armonico, una sfera da 660 tonnellate progettata dal padovano Renato Vitaliani. Il paradosso è servito: a Taiwan sanno come fare a non morire sotto a un terremoto. Si affidano alla tecnologia italiana.
Ma si potrebbe fare in modo di "aggiornare" la tenuta antisismica delle città italiane? Forse. Certo sarà più facile nelle località rase al suolo dal terremoto, visto che di zone rosse illustri, da Camerino a Visso ad Amatrice, c'è abbondanza, a otto anni dal sisma. Ma come si possono cambiare i connotati a un intero Paese, quando non si riesce a ricostruire, su basi nuove, da zero? Stanziati e spesi i soldi per le emergenze ci si è incartati nelle solite decine di provvedimenti (vedi commenti) che hanno ottenuto di rallentare, ritardare, fermare la ricostruzione, contraddicendo i programmi dei governi che si sono susseguiti. Nessuno sa, poi, quanto si sia speso con i bonus sisma, non ci sono dati precisi. Resta il dubbio che prevalga il fatalismo e che mettersi al riparo dai terremoti distruttivi non sia per i cittadini una priorità.
6/4 Vota Grunge
30 anni fa moriva Kurt Cobain, tra gli ultimi eroi, a occhio e croce, del rock morto troppo giovane, insieme a Jeff Buckley e Amy Winehouse. Il Grunge, di cui Kurt era l'uomo/icona, è stata (forse) l'ultima incarnazione del rock, una sintesi di tre decenni nata e morta a Seattle. Personalmente ho sempre preferito Eddie Vedder e i suoi Pearl Jam ai Nirvana (grande scelta, il nome del gruppo, con mille scie di significato), ma Nevermind è stato l'Album Grunge per antonomasia, col bambino nudo che sta per abboccare all'esca del dollaro che è tra le copertine rock più conosciute. Io ero più attento al punk, per motivi anagrafici, ma il Grunge ha portato un contributo serio alla storia del rock, che dicono sia morto, anche lui. Si spera sempre in un colpo di coda. Kurt però è morto per davvero, ormai da troppo tempo, e io non riesco a vederlo come un simbolo. Piuttosto a guardarlo in foto mi viene da rimpiangere tanta bellezza.
3/4 Gabriella Ferri
In tanti parlano oggi di Gabriella Ferri, a 20 anni di distanza dalla morte. Ne ho un ricordo familiare di riporto, perché mi hanno sempre raccontato che era una cliente fissa del bar dove lavorava mio padre, a Via Ripetta. Era una faccia di Roma, come in tanti riportano oggi: non l'unica, ma una delle tante, vere, rappresentative. Una voce profonda di un tempo in cui la musica (anche) folk era in classifica, una Caterina Bueno metropolitana nel momento in cui di metropolitano a Roma c'era poco.
E questo è tutto, per questa settimana. Grazie per essere arrivati fin qui.
Fatemi sapere se gradite, e se vi va condividete, passate parola, fate voi.