Oh mia Patria
Recriminazioni in salsa (quasi) patriottarda di un vecchio trombone in tempi di sfacelo, gravi ma non seri.
Cari amici, ultimamente sono in crisi. Mi sento come un vecchio catenaccio, residuato di un tempo ormai dimenticato. Sono cresciuto in una famiglia umile ma onesta, come diceva Massimo Troisi, e i miei non mi hanno trasmesso passioni politiche, salvo qualche racconto di soprusi fascisti o qualche sottolineatura vergata a penna dal mio nonno grafomane che si complimentava con Fidel Castro mentre insolentiva Radetzky e Cecco Beppe.
Essendo un lettore affamato e ferocissimo e un osservatore-che-si-perde-nella-cosa-che-osserva, però, mi sono immerso in tutto il brodo che mi circondava, e ho letto letto letto, guardato e ascoltato, i film di mattina quando c’era la Fiera di Roma, i racconti dei partigiani, le parate militari, i fumetti di guerra, un sacco di roba. Poi, a scuola, ho studiato quel poco di diritto, e mentre fuori leggevo scritte che capivo fino a un certo punto, e assistevo a scene terrificanti senza riuscire a metterle nel contesto generale, maturavo la mia visione delle Istituzioni, anche grazie ad alcune influenze familiari, dei miei cugini e dei miei zii, dalle quali trattenevo elementi di amore patrio.
Aiutava anche il culto diffuso della nazionale di calcio, che allora era molto più forte di adesso. Insomma, per me le Istituzioni sono altissime, la Costituzione è il cardine della Repubblica, il Risorgimento e la Resistenza sono i momenti fondanti del Paese, le figure eroiche sono scolpite nella memoria, da Silvio Pellico a Falcone e Borsellino, con tutto quello che c’è in mezzo e mi scuso per la banalizzazione ma è impossibile rendere l’idea in poche righe.
Così assistere a scene come quelle di questi giorni mi fa impressione: non tanto per le botte a Montecitorio, che si sono viste e sentite in diverse epoche e per questioni ben più drammatiche, anche se a pensarci bene il momento attuale è gravissimo, ancorché poco serio, come direbbe Flaiano.
Mi fa impressione perché ho un’idea altissima dei Luoghi della Repubblica e ritengo che chi rappresenta i cittadini, in Parlamento, a Palazzo Chigi, nelle amministrazioni locali, negli uffici pubblici e in tutti i luoghi dove i cittadini vengono a contatto con lo Stato, debba farlo con senso di responsabilità e rispetto massimo per le istituzioni. E lo stesso vale per chi s’incarica di guidare entità che hanno grandi responsabilità nei territori, come le banche locali. Il senso comune. Meglio, il senso del bene comune.
L’assicurarsi, nel proprio piccolo, che ci sia applicazione non solo di quello che dice la Costituzione, ma anche di tutto quello che può migliorare la convivenza e l’esistenza dei cittadini. Fare quello che si deve per far funzionare un Paese.
Mi rendo conto che è la visione ingenua di quello che immagina la marmotta che incarta la cioccolata e mi autocensuro, però continuo a cercare, nella mia insignificante esistenza, di portare un mattone, con tutta l’approssimazione, i difetti, la discontinuità del mio piccolo.
Ma non posso non pensare che la crisi della politica, la disaffezione, la mancanza di professionalità, la perdita definitiva del senso del bene comune parta da lontano e non dipenda dal cattivo esempio di chi siede sugli scranni più prestigiosi: il ricordo dei Pertini, dei Berlinguer, dei Moro, dei Falcone qualcosa dovrebbe aver lasciato, altrimenti.
No, il punto è che chi ci governa ci rappresenta, e porta dentro ai luoghi del potere le caratteristiche degli italiani, nel bene e nel male. Che ci sia metà del Paese che non vota la dice lunga: tagliata la fetta consistente dei disillusi e dei menefreghisti resta la sostanza di chi assiste, annichilito, a uno spettacolo di degrado progressivo che ripercorre in salsa farsesca (speriamo) i passaggi drammatici della storia. In attesa di preparare una nuova apoteosi della sopraffazione e dell’interesse privato sul bene comune.
Scusate i toni da vecchia zia, non aggiungerò un Viva l’Italia finale, anche perché una sciocchezza che ci portiamo appresso è la rinuncia ai valori positivi della patria, infilati nello stesso bidone in cui abbiamo buttato quelli fortemente negativi che il concetto contiene. Toccherà presto tornare a rovistare in quel bidone.