Razzista sarà lei
Maignan denuncia, Udinese punita. Ma così c'è chi viene penalizzato due volte
Cari amici, siamo alle solite. Stavolta è successo a Udine: razzisti contro Maignan, portierone del Milan, partita sospesa, Udinese costretta per punizione a giocare una gara a porte chiuse. Il giocatore sottolinea, tra le altre cose, che subisce questo trattamento più o meno ovunque, descrivendo una situazione generalizzata, come da sempre andiamo predicando noi tifosi penalizzati dai cretini da curva (quando sono solo cretini).
Il punto è se sia giusto punire le società e i tifosi incolpevoli, che vanno allo stadio per vedere la partita e non condividono certi atteggiamenti, anzi, li subiscono. Si dice che non c’è stata dissociazione da parte degli altri tifosi, il che è come dire che chi si trovava a Udine l’altra sera condivideva le offese a Maignan, o perlomeno non aveva la forza/sensibilità di opporsi. Per questo si penalizza, poi, chiunque abbia sottoscritto un abbonamento per recarsi pacificamente allo stadio, a sostenere la propria squadra.
Qualcosa bisogna pur fare, ok. Ma ragionare in termini di penalizzazioni per le squadre, squalifiche, multe, partite perse a tavolino, stadi chiusi al pubblico, oltre a scaricare il problema sui club, fornisce armi di ricatto a chi volesse servirsene per colpire le società. Con l’ingenua convinzione che una squalifica o una penalizzazione sia un deterrente per un tifoso, che parte dal presupposto che si stia parlando di tifosi “normali”. Manco si vivesse sulla luna.
Nelle curve di mezza Italia comandano spesso delinquenti comuni e neonazifascisti, che per passare il tempo si insultano a vicenda usando formule, diciamo così, particolari. Ci si dà dell’ebreo o dell’antifascista per offendersi a vicenda, e lo si fa usando un gergo che è difficile riconoscere per quello che significa realmente, al di fuori delle dispute ultras. Più si fa notizia più ci si dà lustro.
L’Udinese ha goduto, si fa per dire, di un minimo d’indulgenza, per essersi messa a disposizione delle autorità, per identificare gli insultatori, e arrivare a provvedimenti di interdizione per i “tifosi” colpevoli. Non è però nelle possibilità dell’Udinese impedire quello che è successo, né adottare misure che possano prevenire che accada ancora.
Non è giusto che a ogni tifoso dell’Udinese presente allo stadio, o addirittura assente ma titolare di un abbonamento, si accolli la responsabilità dell’accaduto. Non tanto per il danno, a conti fatti risibile, quanto per lo stigma: per colpa di pochi si passa tutti per razzisti, beceri, incivili.
Se allarghiamo la visuale scopriamo che, oltre a inveire contro giocatori dalla pelle scura, gli incivili da stadio se la prendono spesso anche con i giocatori di origine balcanica. Oltre ai cori antinapoletani che infestano le curve italiane.
Canti minacciosi e insultanti, spesso razzisti e antisemiti, vanno per la maggiore ovunque, e ne abbiamo anche visto rappresentazione caricaturale sugli spalti dello stadio arabo a margine della fasulla rappresentazione della supercoppa italiana, con tanto di fischi al minuto di raccoglimento alla memoria di Gigi Riva, scomparso un’ora prima. Segno che si ritiene sia questo il modo di tifare in Italia, questo cioè che va fatto per sentirsi veri tifosi. Emulazione che scatta anche dentro gli stadi italiani, chiunque ci si sia trovato sa che è così.
A farlo sono quasi tutte le tifoserie: Lukaku rimedia spesso insulti come Maignan, ma in generale i calciatori neri vengono beccati più o meno ovunque. A Balotelli si augurava saltellando allegramente di morire. Allo stadio chi insulta non si ferma davanti a niente e trascina imitatori che ardono del sacro fuoco tifoso che istupidisce. Ma vanno rispettate le proporzioni rispetto all’ambiente esterno, ovunque, salvo zone circoscritte ben conosciute da chi avrebbe gli strumenti per gestire l’ordine pubblico. Stiamo parlando, cioè, di minoranze, spesso conosciute e individuabili. Contro le quali i club non hanno strumenti efficaci da usare.
È di questo che si tratta, e di fronte a questo le società di calcio possono solo subire il danno e la beffa, né è mai sostenibile che ci sia complicità da parte delle società rispetto a certe manifestazioni, che costano soldi a palate, oltre a danni irreversibili d’immagine.
Scaricare la bega sulle società, utilizzando la leva iniqua della responsabilità oggettiva, significa isolarle e costringerle a venire a patti con chi volesse approfittare della situazione. Se a uno scenario come quello di Udine dovesse seguire una penalizzazione che alteri il corso di un campionato, i danni potrebbero essere rilevantissimi, a fronte di colpe inesistenti.
E poi resta la rabbia dei tifosi innocenti, che il razzismo lo combattono anche con i gesti concreti, lasciati soli a confrontarsi col problema dovendo sopportare anche il peso dei luoghi comuni.
Noi che il razzismo ci fa schifo lo diciamo forte e chiaro da decenni. Meritiamo tutela e rispetto.
E abbiamo il diritto sacrosanto di non essere accomunati con chi, a Udine, a Torino, a Napoli, a Bologna, a Roma, a Firenze, a Genova, a Cagliari o dove, dà sfogo alla propria inciviltà, manifesta il proprio razzismo, intona cori aberranti, ingaggia scontri con altre tifoserie e con le forze dell’ordine, commette apologia di nazifascismo e reati comuni nella più totale impunità.
Se lo stadio è zona franca la colpa non è nostra, non vedo perché si debba pagare noi, che Maignan lo ammiriamo come il secondo portiere più forte del campionato, dopo quello della Lazio.
Accodo l'intervento di Alessandro Piperno sul Corriere della Sera dopo Lazio-Napoli e i fischi al Giorno della Memoria. Preso dall'Huffington Post
"Dopo trent'anni di stadio non ci metterò più piede". Così, sulle pagine del Corriere della Sera, lo scrittore e critico letterario Alessandro Piperno esprime il suo disgusto per lo spettacolo razzista e antisemita andato in scena domenica durante la partita Lazio-Napoli, quando i tifosi hanno dissacrato "con fischi e sberleffi un evento tragico che meriterebbe silenzio e raccoglimento", ovvero il Giorno della Memoria.
Scrive Piperno: "Non so se è peggio la dabbenaggine ipocrita delle autorità calcistiche che hanno pensato bene di commemorare la memoria della Shoah in quei luoghi franchi, quelle arene che sono gli stadi italiani; o la feccia che durante la partita Lazio-Napoli, assecondando la propria natura empia, razzista e antisemita, ha colto la palla al balzo per dissacrare con fischi e sberleffi un evento tragico che meriterebbe silenzio e raccoglimento. Ciò che so è che dopo trent’anni di stadio non ci metterò mai più piede. E lo dico con dolore perché è sempre stato uno degli innocui piaceri della mia vita".
E ancora: "È dal 7 ottobre scorso che vivo in un perenne stato di angoscia, sia per il pogrom compiuto dai tagliagole di Hamas che per i morti innocenti di Gaza. Mi strazia l’idea che questo pensiero terribile abbia inquinato anche un evento ludico come una partita di calcio. Affinché questo mio sfogo non venga strumentalizzato, tengo a dire che non accuso di certo la squadra che tifo sin dall’infanzia. Lei, esattamente come me e tanti altri tifosi, è ostaggio di questa marmaglia nazista. Non credo che la SS Lazio disponga degli strumenti per combattere ciò che mi pare invincibile".