Scrivi, che ti passa
(Sproloquio sui social e la scrittura a principale beneficio dello scrivente)
Cari amici, essendo un “esperto” (nel senso di vecchio) internettaro ogni volta che esce una diavoleria social nuova la provo. Così ho fatto con Facebook, Twitter, Instagram, FriendFeed, Pinterest eccetera, così ho fatto con Threads, quello nuovo, sputato fuori da Instagram (cioè il tentativo di Zuckerberg di andare a rompere gli zebedei a Musk facendo concorrenza a X/Twitter, detto in parole povere).
Ok, stczz. Non sono mai stato un utente attivo su Instagram, ogni tanto mettevo una foto senza manco un hashtag muffo, della serie vecchietto che fotografa il cantiere e condivide. Il fatto è che non me ne importa niente.
Su Threads comunque mi si è creata subito una piccola bolla di follower, una settantina (basati sui pochi follower che avevo su instagram, così imparo a eliminare gente), e l’algoritmo, furbo come una volpe, mi ha subito collocato nello scaffale di quelli che s’interessano di scrittura. Gne se po’ nasconne niente, oh.
Così mi è arrivata addosso una piccola grandinata di post con gente che si dà consigli su come fare per pubblicare robe scritte. Essendo più o meno edotto sui numeri della produzione editoriale, senza conoscere quelli sull’autopubblicato velleitario scrittore di capolavori imperituri, ho scrollato senza nutrire particolare interesse.
Poi, però, ho letto, proprio su Threads, questo post di Sandrone Dazieri, noto e stimato scrittore e operatore dell’editoria.
Trovo sempre più testi scritti dall'intelligenza artificiale nei social. Finti utenti, finti post, finti messaggi. A breve i social aperti (non quelli dove sei tu a scegliere con chi rapportarti e gli altri utenti non li vedi neanche) diventeranno del tutto infrequentabili. Credo che Facebook sia già esploso e che difficilmente sopravviverà, gli altri avranno grossi guai. Sono certo che a breve le nostre interazioni digitali saranno molto differenti. (sandronedazieri)
A parte le profezie sul futuro dei social (le cose su internet cambiano velocemente) è interessante il passaggio sui post fasulli, che unisco all’esortazione di un altro utente di Threads di cui non ricordo il nome che consigliava a tutti i parolai (perdonate se non vi chiamo scrittori, alcuni di voi sicuramente se lo meritano): mettete le vostre cose su spazi proprietari, siti o blog che siano, e state fuori dalle piattaforme.
È una parola, lo so, mi ci sono messo di punta da quando ho letto anni fa Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social di Jaron Lanier (non c’è bisogno di correre a comprarlo, ma se volete si trova facile sul sito de Il Saggiatore), che mi ha convinto a smettere di scrivere post sui social e a mettere i contenuti che scrivo su uno spazio mio. In realtà mi sono fermato a metà del guado, limitandomi a mettere in piedi questa newsletter su Substack, che ha diversi pregi ma per l’uso che ne faccio è, in definitiv, un blog. Avrei anche aggregato altre penne ma ho poco tempo e non mi danno molto retta.
Ovviamente il compromesso risiede nel fatto che per far leggere a qualcuno i miei ponderosi messaggi mi tocca servirmi dei miei account social, che in parte alimentano le letture dei miei post. Ma solo in parte. Questo perché in tanti tendono, per diversi motivi, a identificare internet con i social che usano, Facebook in primis. No. Internet è soprattutto altrove.
Per esempio, la mail, strumento apparentemente antiquato che però sopravvive, è un ottimo mezzo per far circolare contenuti. Devi crearti una base di lettori, che poi riceverà le tue mail e le leggerà, se saranno attrattive, nel flusso infinito di documenti inutili o che uno non ha voglia di leggere che arrivano per mail. Che ha un pregio: è roba tua e si ricorda tutto. Idem dicasi per il blog, che avrebbe superato la sua fase di moda, risalente ormai a due decenni fa.
Attenzione: mettere su un blog chiede dieci minuti di lavoro, è gratis, è sempre tutta roba tua, se non hai particolari capacità informatiche ti servi di una piattaforma gratuita tipo wordpress.com e metti in circolo tutti i contenuti che vuoi.
Questo, ovviamente, se hai voglia di mettere fuori contenuti che hai prodotto, azzannato dal bisogno di comunicare. Se invece lo stai facendo per diventare un grande, medio, piccolo scrittore, allora ok, il dialogo con i tuoi simili sulle vie della penna può continuare. Mi viene da dire, da lettore incallito, ancorché non maniaco, che sarà meglio esercitare un po’ di sana autocritica nel giudicare i tuoi lavori, ma sono fatti tuoi.
Quanto a me, in vita mia ho scritto un libro per un editore e un libriccino autoprodotto. Con l’editore mi sono trovato non benissimo, ma è dipeso dal fatto che sono poco interessato a promuovere quello che scrivo e che nella vita faccio un altro lavoro (quasi nessuno campa facendo lo scrittore e diventano sempre meno quelli che riescono a sopravvivere facendo i giornalisti).
Col self publishing ho gestito il mio librettino a pagamento per un po’, ne ho vendute una cinquantina di copie, poi mi sono stufato e l’ho reso scaricabile gratuitamente da qualche parte, forse pure nella home page di questa newsletter.
L’altro giorno guardavo un podcast di Daniele Rielli che intervista GiPi (grande fumettaro che dovete per forza conoscere). E GiPi parlava di giovani fumettisti più interessati al fatto di pubblicare che al fatto di produrre qualcosa che cresca fino a essere pubblicato. Ecco, credo sia questo il punto. Produrre senso, possibilmente senza fare senso, per avere senso.
Per scrivere bisogna leggere e poi leggere e leggere.
Leggendo ti arriva addosso un’enorme quantità di stimoli e un flusso di parole e di forme che modelli dentro di te e che ti cambiano, costruiscono una tua visione del mondo, ti suggeriscono interventi da fare, ti obbligano a mettere in fila i concetti che esprimono il tuo pensiero anche solo per il fatto di averli più chiari.
Che poi ci sia chi li legge può essere secondario, già a questo punto un post così lungo lo leggeranno in tre. Fondamentale tenere a portata di mano quello che hai scritto, sotto forma di appunti, lettere, post, perché sono parole tue, che ti definiscono e ti presentano a chi vuole leggerle. Sempre che tu abbia il desiderio di essere letto, e non ti interessi di più leggerti da solo.
Certe volte penso che si scrive più che altro per sputare il rospo e dire quello che ci preme dire. Molti pensano lo si faccia per suscitare ammirazione, approvazione, per acchiappare like. Può darsi, ma il punto è che per imparare a scrivere bisogna scrivere e scrivere. Quindi mano alla penna, e non corriamo, ché scrittore è chi scrive cose, ma non tutti quelli che scrivono cose possono dirsi scrittori.
Quanto a chi usa IA per scrivere, professionalmente o meno, e chi dice niente? Ma insomma, vi commentate da soli, suvvia. Non capisco quale sia il gusto di intestarsi la composizione di un pezzo di silicio educato da oscuri lavoratori pagati un dollaro ogni tanto. Che poi è come scrivere sui social, con l’algoritmo che ti rallenta o ti censura. Su uno spazio tuo sei libero. È un foglio bianco. Costa zero o pochissimo.
Quanto al copyright, ok, mica voglio dire che Zuckerberg si vende le dieci righe che scriviamo, non siamo così importanti, non facciamo come le catene di sant’Antonio cretine che dicono non autorizzo facebook a usare le foto che pubblico. Se però consideriamo che comportamenti, scritti e agganci servono al buon Mark per profilarti, venderti a terzi e indirizzare il traffico che produci e quello che ti viene proposto, beh, il discorso, converrai, un po’ cambia. E poi su facebook i testi non li rintracci se non con fatica. A meno di non usare lo strumento brutto delle note. Insomma, non è un’interfaccia usabile.
Una volta mi hanno detto che siccome me la cavo in cucina e scrivo potrei fare il food blogger. Ma perché dovrei, se faccio un altro mestiere? Mica crederete alle sciocchezze dei giornali sui piani B di quelli che mollano tutto e cambiano vita. In genere sono persone che hanno risorse bastanti a pagare mutui e a divertirsi, fino a quando possono.
La norma è quella dell’uomo nella foto lassù: talento assurdo e lavori pesanti per sbarcare il lunario. Ma non sto qua a raccontarvi Carver, se siete writers lo venerate già.