Vino, libri e Pazienza
Francesco Guccini intervistato da Andrea Scanzi per il Fatto Quotidiano
“VINO, LIBRI E PAZIENZA” GUCCINI
Il cantautore ha pubblicato un nuovo romanzo “Quello di Meloni è regime”
Il Fatto Quotidiano
7 Nov 2024
» Andrea Scanzi L’avvelenata
Francesco Guccini è sereno, sta bene e beve rum a fine pasto con piacere genuino. Da Pavana osserva la realtà, ricorda con garbata nostalgia e nei ritagli di tempo scrive limerick (forma particolare di poesia umoristica) dedicati a Vannacci e La Russa. Pranzo alla Caciosteria, uno dei suoi luoghi-nido, e poi chiacchierata-fiume nella sua casa. Partendo dal suo ultimo libro, Così eravamo (Giunti), gioiellino di cinque racconti che racconta con maestria la sua adolescenza negli anni Cinquanta.
Nel libro ti interroghi anche sul senso del vivere.
Racconto la morte di un mio compagno delle medie. Si chiamava Colombini e aveva 12 anni. Poverino, si è perso tutto. Come Silvana Fontana, la protagonista di Canzone per un’amica. È una mia costante quella di chiedermi ‘a che cosa è servito/ vivere, amare, soffrire’. Però, come scrivo nel libro, credo che – nel bene e nel male – sia comunque meglio aver visto e aver vissuto, e ‘non essere scomparso come un soffione che a un semplice alito di vento è volato via’.
La morte ti fa paura?
No. Col tempo ho acquisito una serenità zen. Ho 84 anni, ho vissuto una bella vita, ho fatto tutto quello che volevo e potevo. Va bene così. Più che della morte, provo angoscia di fronte al tempo che passa e a ciò che cancella. Anche per questo sono così legato alla memoria.
Pensi che dopo ci sia qualcosa?
No. Non sono ateo, ci vuole troppa fatica per esserlo. Sono agnostico: non mi aspetto nulla, e non essendo credente non posso neanche aggrapparmi alla fede. Credo che si muoia e finisca tutto lì, ma magari sbaglio.
Essendo ormai zen, non ti arrabbi più?
Mi arrabbio moltissimo quando guardo i talk-show. Urlo proprio contro il televisore, soprattutto quando parlano certe persone a Retequattro.
Vasco ha parlato di ritorno del fascismo.
Da lui non me lo aspettavo. L’ho visto una sola volta: venne alla trattoria Da Vito di Bologna per dirmi che mi amava, e poi se ne andò. Entrambi abbiamo avuto i padri internati, il mio era nel campo di concentramento con Guareschi. Ha avuto coraggio, mi è piaciuto e ha detto cose vere. Infatti il regime lo ha subito attaccato.
Il governo Meloni è un “regime”?
Certo! Vogliono far sottostare tutti i poteri (a partire dalla magistratura) a quello esecutivo (cioè il governo). Proveranno a limare la Costituzione: non dico modificarla, non ne sarebbero capaci, ma limarla sì. Meloni neanche concede interviste, a meno che non sia da Vespa, dove fa delle figuracce come quella della calcolatrice. Sono illiberali e non accettano critiche.
Meloni ti adorava, e c’è rimasta male quando ha scoperto che non la stimi.
Non è colpa mia se delle mie canzoni non ha capito nulla. Una volta mi telefonò per invitarmi ad Atreju: ma figuriamoci! Stanno provando a sostituire ‘l’egemonia culturale di sinistra’ piazzando cinque sfigati alla Cultura, ma non hanno niente. Nessun cantautore di qualità di destra. Non è che io, De André e Vecchioni c’eravamo messi in testa di ‘divulgare la cultura di sinistra’: semplicemente non puoi non avere una sensibilità di sinistra per scrivere certe canzoni. La Meloni che mi stima mi ricorda un fascista che mi fermò molti anni fa. Centro di Bologna, avevo inciso da poco Radici. Mi fermò un tizio, mi disse: ‘Non la penso come te, ma ‘‘ mi piaci’. E poi mi diede il ciclostilato de La voce della fogna, un foglio satirico dell’estrema destra. Ecco: questi sono usciti dalle fogne, dopo decenni ai margini, e ora vogliono vendicarsi. Diranno, a torto, che sei comunista. Mai stato. La mia famiglia era democristiana e mio padre liberale di destra, innamorato di Einaudi e Montanelli. Anch’io sono un liberale, però non alla Malagodi: diciamo alla fratelli Rosselli. Sono un socialista liberale.
Racconta. Hai insegnato negli Stati Uniti. C’era già la pulsione reazionaria che ha portato alla vittoria di Trump?
No. Però insegnavo in Pennsylvania e avevo una visuale particolare, perché docenti e studenti erano tutti democratici. La mia morosa dell’epoca oggi è una senatrice democratica del Maine. Comunque Trump mi atterrisce.
Volevi fare il cantautore?
Sognavo di fare il giornalista e poi lo scrittore. O l’insegnante.
C’è qualche giovane cantautore che ti piace?
No, ma ascolto poco. Neanche vado più al Tenco. Però la canzone di protesta servirebbe ancora.
Ti mancano i concerti?
Per niente. Al massimo mi mancano le cene e le bevute prima e dopo i concerti. Tirar tardi al mattino. Ma sono tempi lontani: il mio nipotino mi chiama ‘il nonno che suona la chitarra’, anche se non suono la chitarra da un bel pezzo.
Cibo e alcol sono per te piaceri rari.
Sono figlio, per dirla con Gramsci, della cultura contadina. Il cibo era una cosa preziosa, rara e conviviale. Poi è arrivata la cultura industriale e consumistico-edonistica, alla Berlusconi, e ha sporcato tutto.
Le sbronze più colossali?
Tante. Ne ricordo una con Gregory Corso. Eravamo a Bologna, ci dicono che c’è un incendio. Andiamo a vederlo e stiamo lì tutta la notte a bere. La mattina alle 8 dovevo fare lezione agli alunni e la sera c’era un concerto nel Lazio per solidarietà a un ragazzo arrestato in Turchia. E la sera dopo il concerto a Roma. Ci arrivai in condizioni pietose.
Mai provato droghe?
Mai. Bologna è stata devastata dall’eroina negli anni 80. Ho perso tanti amici. Penso anche ad Andrea Pazienza. Al Tenco, una volta, ci sfidammo coi disegni: lui ne faceva uno sulla tovaglia e io rilanciavo con un altro. Poi, dopo aver bevuto ininterrottamente, all’alba andammo al Mercato dei Fiori di Sanremo. Aveva una giacca di cui andava fiero, piena di bottoni. Gliene strappai uno. Si vendicò e ne strappò uno a me. Andammo avanti fino quasi a prenderci a cazzotti, poi intervenne Mollica: ‘Che state facendo?!’. E ci mettemmo a ridere.
Come sapesti della sua morte?
Da una telefonata di Sergio Staino. Piangeva e si sentiva in colpa, perché gli aveva prestato dei soldi e temeva che Andrea ci avesse comprato la dose letale.
Vasco, 883. E se facessero una serie tivù su di te?
Mi imbarazzerei. A Reggio Emilia vogliono fare una mostra di me: okay, grazie, fatela. Ma io mi vergogno: mi pare troppo. Come quando mi fermano e mi dicono: ‘Sei un grande!’. E io: ‘Macché. Al massimo sono alto, mica grande’.
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Author:» Andrea Scanzi L’avvelenata
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